Maresso, Pasqua, il 27 marzo 2005
Caro amico…
Mi chiamo Wojciech. Ho 32 anni. Sono uno dei due discepoli in cammino per un villaggio di nome Emmaus.
Come ti chiami? Quanti anni hai? Tu sei il secondo discepolo in cammino per un villaggio di nome Emmaus.
Abbiamo lasciato Gerusalemme. Si, è vero. Abbiamo lasciato un luogo dove si perde invece di vincere, dove si muore invece di vivere, dove si porta la croce invece della corona di gloria. Abbiamo lasciato Gerusalemme, la città che si potrebbe chiamare: il mistero della croce. Non ci piacciono più le sofferenze, rinunce, digiuno. Vogliamo scappare dalla vita dove ci soni i limiti della morale e il giogo dei comandamenti. Si, non è vero? Abbiamo lasciato Gerusalemme.
Ma quale direzione abbiamo preso? Dove è Emmaus? Si dice distante circa sette miglia da Gerusalemme. Non è lontano. È vero. Non è lontana la strada che va dalla croce ai piaceri, dalla fede all’indifferenza, dalla chiesa al mondo. Non è lontano. Ma dove è il nostro Emmaus. Dove vai uomo? Quo vadis, homine? Che cosa vuoi trovare nella vita? Dove vuoi abitare? Come si chiama la città della tua “dolce vita”? Si chiama per caso “Sia fatta la mia volontà”? Forse si chiama “Mai dolore”? oppure “Senza sforzo”. Come si chiama il misero villaggio della nostra fuga?
Non è che abbiamo lasciato tutto. Pur camminando verso Emmaus parliamo di tutto quello che è accaduto a Gerusalemme.
Come i discepoli del vangelo odierno anche noi non possiamo capire “il perché” della nostra fede. Non possiamo capire perché la fede non funziona nella nostra vita. Perché nonostante tutte le esigenze, tutti i propositi buoni non si va avanti. Non possiamo capire perché sempre di più la Chiesa va fuori di moda, la gente gira le spalle, i giovani trovano gli affari più affascinanti, la parola anche se proclamata divina non cambia né la storia né gli esseri umani. Spesso o raramente, nel cuore o nell’apparenza ma discutiamo delle cose che dovevano darci la speranza. Diciamo: “Noi speravamo che fosse Dio a liberarmi”.
Anche noi non camminiamo da soli. Qualcuno si è accostato e cammina con noi. Egli prova a spiegarci tutto quello che è accaduto e che sta accadendo nella vita. Usa la Bibbia. Usa la logica. Parla dal cuore al cuore.
Chi è quello sconosciuto nel nostro cammino verso Emmaus? Tuo padre? Madre? Qualcuno dei parenti? Prete? Suora? Amico? Il libro religioso? Il programma televisivo? Chi è quello sconosciuto nel tuo cammino a Emmaus?
Caro amico…
Si fa sera e il giorno già volge al declino. È il momento della domanda decisiva. Abbiamo coraggio di dire “resta con noi”? Abbiamo coraggio ad invitare il nostro sconosciuto a tavola cioè creare con lui una comunione più stretta? Non si trovavano alla tavola giudaica i nemici. Essere insieme a tavola significava essere d’accordo, stare molto vicino. Allora, abbiamo coraggio a dire “resta con noi” – “mane nobiscum”? Si, abbiamo coraggio. Proprio stasera siamo a tavola della chiesa di Maresso. Siamo qui a dire a quello sconosciuto “resta con noi! Prendi il pane! Di’ la benedizione! Spezza il pane e dallo a noi per aprire gli occhi chiusi, riscaldare i cuori freddi, spalancare le orecchie tappate, rafforzare le mani indebolite e raddrizzate le ginocchia paralizzate!
Caro amico…
Siamo noi i discepoli di Emmaus. Malgrado l’ora tardiva, malgrado la via lontana ti prego, mio compagno della fuga per Emmaus, ti prego, andiamo a Gerusalemme! Torniamo senz’indugio. Prendiamo la strada per trovare gli apostoli e tutti gli altri della santa Chiesa che dicono oggi con la gioia indimenticabile: “Davvero il Signore è risorto!”